“Non so spiegarmi perché mi dia tanto piacere scrivere a mano, quasi che un foglio di carta e una buona penna mi compensassero dello sforzo di pensare.
Mentre rifletto la mia mano agisce autonomamente: si muove, cambia direzione, si alza e si abbassa, cancella, crea un labirinto di righe, dilata gli spazi, gioca con i margini, con quelle piccole tracce puramente funzionali che sono le lettere, mette insieme una costruzione artistica.
Ed io così divento artista, non tento di riprodurre la reatlà ma lascio che il mio corpo si esprima con il gesto della scrittura, con tracce e segni su di una superficie intatta e quindi plasmabile all’infinito.”
(Dalla prefazione di Roland Barthes a La civilisation de l’écriture di R. Druet e H. Grégoire) – Fonte: Lettering, studi e ricerche (Hoepli)
Una riflessione che si può trarre da questo breve incipit di Roland Barthes è che nell’era del digitale e del “social tutto”, dove tutto è frenetico, dove quello che non si digita si tocca o si registra come messaggio vocale, dove si delega a un’icona, a un like o a una GIF animata un pensiero articolato, sarebbe importante non dimenticare il piacere della gestualità, del segno grafico autentico lasciato con una penna, armonioso, frettoloso o nervoso che sia. E non lo dico per salvaguardare una tradizione o per motivi estetici. La scrittura manuale è un gesto che diventa istintivo col tempo ma che richiede anni di insegnamento e successiva applicazione. È importante perché attiva delle aree del cervello che con la scrittura digitale non vengono toccate. Ad esempio, scrivere a mano aiuta ad assimilare meglio un concetto, favorisce la concentrazione e la memorizzazione, riduce al minimo le distrazioni. Anche la creatività ne è influenzata positivamente. Per me che sono cresciuto a cavallo tra il tutto a mano e il tutto a monitor, scrivere e scarabocchiare è fondamentale per fissare idee, concetti, parole chiave, forme, layout. In più amo la carta, le penne, i pennarelli, ho un rapporto viscerale con loro.
Chiusa la parentesi nostalgica.
“Quando prendiamo appunti a mano durante una lezione, la lentezza dell’atto ci obbliga a selezionare molto. E questo è cruciale per fare propria la lezione”.
Daniel M. Oppenheimer, professore di psicologia alla Carnegie Mellon University – Pittsburgh, Pennsylvania.
Una delle tendenze che ha caratterizzato il design grafico negli ultimi anni, e che ancora oggi è in voga, è la creazione di logotipi e caratteri tipografici che si rifanno al tratto della scrittura manuale, sia essa classica, quella di tutti i giorni, espressione del proprio stile e delle proprie attitudini, o calligrafica, che ha finalità artistiche o di design grafico. Tutto ciò oggi è reso possibile dal fatto che produrre un carattere è molto più semplice rispetto al passato. Basti pensare che, ad esempio, sul sito calligraphr.com (ex myscriptfont.com) con pochi e semplici passaggi è possibile crearsi un carattere basato sulla propria propria scrittura. In passato, prima della rivoluzione tecnologica e della successiva massificazione delle tecnologie hardware e software, avevo ben pochi caratteri script installati sul mio Mac: c’era il Brush Script (disegnato nel 1942), il Dom Casual (1951), il Mistral (1953), lo Zapf Chancery (1979), Marker Felt (1992) e l’odiato Comic Sans (1994). Oggi la comunicazione viaggia molto sui formati digitali. Il ritorno a una grafica più pulita ed essenziale, unita al fatto che si può disegnare direttamente sul monitor ciò che una volta si disegnava a mano, si buttava in uno scanner e si aggiustava con i software, ha in qualche modo contribuito alla rinascita dello stile calligrafico e al proliferare di caratteri pittorici e logotipi che richiamano la firma. Un po’ come l’avvento della fotografia digitale ha dato vita a schiere di fotografi e videomaker. Anche una certa cultura della scrittura ha ripreso vigore e numerose associazioni sono nate per mantenere viva questa forma d’arte. Ne cito una su tutte, Dal segno alla scrittura. Detto per inciso, alla base della progettazione di qualsiasi carattere tipografico (bastone, graziato o slab) il disegno a mano, in cui si mettono nero su bianco le prime idee e linee di progetto, è imprescindibile.
Attualmente la disponibilità di script font è praticamente illimitata. Chiaramente non tutti sono meritevoli di utilizzo. Ad esempio, sul sito dafont (ma ce ne sono tanti altri) potete trovarne una discreta quantità sotto le categorie Fantasia e Script. Ce n’è per tutti i gusti, da quello infantile a quello adulto, dal tratto elegante a quello schizofrenico, ma dovendo fare una classificazione si possono dividere in tre macro aree.
1. Quelli utilizzabili essenzialmente come base per la realizzazione di marchi, wordmark o brevi slogan. Sono caratteri che hanno un numero di glifi minimo indispensabile. Chissà, forse il designer ha capito la complessità di progettare un carattere e ha mollato tutto a metà dell’opera. A volte non ci sono nemmeno le accentate e i segni diacritici e di interpunzione. Nei casi peggiori ci sono solo le lettere maiuscole e, forse, i numeri. Tenetene conto prima di cliccare su Download. In fase di realizzazione le lettere andranno sicuramente modificate negli spessori e nelle appendici se si vuole ottenere un marchio soddisfacente, ma lavorandoci un po’ si può ambire a ottimi risultati.
Avvertenza: vi capiterà di trovare carattere script molto bello, elegante e armonioso ma quando andrete a comporre il naming del vostro marchio non è detto che avrà la stessa resa. Ciò dipende in (buona) parte dalla forma delle lettere e dall’interazione tra loro e in parte dal fatto che il nostro occhio è ingannato. Succede spesso quando si trova il carattere di un brand famoso e si prova a utilizzarlo per fare il proprio logo (quindi un’altra parola). Nella maggior parte dei casi si rimane delusi dal risultato.
2. Quelli utilizzabili per brevi paragrafi di testo. Sottolineo: brevi. Sono caratteri che hanno un set di glifi abbastanza ampio, hanno una buona leggibilità e sono graficamente apprezzabili al punto da potersi spingere a impaginare un testo. In generale sconsiglio di impaginare testi lunghi, perché un conto è leggere una parola o un periodo un altro è impegnare la vista in una lettura prolungata che con questo tipo di caratteri può risultare difficoltosa e faticosa; si corre il rischio di non trasmettere quel calore e quella genuinità che solitamente si cercano in una soluzione tipografica di questo tipo. Il problema sta nel fatto che i glifi del carattere sono sempre uguali così come le spaziature. Impaginando un testo lungo vengono fuori i difetti come la “finta” irregolarità della scrittura, che in realtà in un testo lungo appare molto regolare perché vittima della precisione matematica del carattere progettato al computer. Per capirci meglio, un carattere può arrivare a simulare abbastanza bene le legature tra le lettere, l’andamento, lo spessore e a volte persino la pressione del tratto ma non può riprodurre le caratteristiche più importanti: la spontaneità, lo stato d’animo e l’irregolarità del gesto. La scrittura manuale autentica ha delle imprecisioni (difficile trovare ad esempio due lettere “a” identiche in una parola) e delle incertezze nei tratti che la rendono unica e, a modo suo, armoniosa.
3. Quelli che non hanno motivo di esistere. Sono caratteri incomprensibili, da analisi, che vanno bene solo se dovete simulare la scrittura della ricetta di un medico.
La tipografia “manuale” oltre a essere molto divertente costituisce una valida alternativa ai tradizionali e spesso ingessati caratteri tipografici, che basano il loro design sulla pulizia e il minimalismo. La prerogativa dei caratteri calligrafici è avere le grazie, le ascendenti e le discendenti molto elaborate e pronunciate, che trasmettono un senso di dinamismo, di libertà, ma anche leggerezza, calore, accoglienza, genuinità. Non è un caso che questo tipo di caratteri trovi applicazione nel turismo, nel design, nell’arte, nella cosmesi e nel food, soprattutto quello attento alla salute e all’ambiente.
Alcuni dei marchi più famosi e longevi si basano su caratteri scritti a mano o che richiamano il gesto della scrittura, che è essa stessa una rappresentazione di carattere, personalità e unicità di un individuo. L’unicità della scrittura rappresenta quindi un segno distintivo anche nel design di un logo e molte aziende nel tempo hanno scelto questo tipo di segno grafico per realizzarlo. Al fondo di questo articolo ne troverete una serie, quelli che mi ricordavo a memoria, in ordine sparso. Alcuni sono recenti, altri hanno molti anni sulle spalle, anche più di 100 e nel tempo hanno beneficiato di qualche piccolo aggiustamento, altri hanno fatto il loro dovere per almeno mezzo secolo e nonostante tutto sono ancora freschi e attuali.
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