L’Italia, un Paese “marketing disoriented”.
L’Italia ha una tradizione ”pubblicitaria” che risale al periodo fascista con le campagne di propaganda in tempo di guerra. Solo a metà degli anni Ottanta però, con la diffusione della cultura della comunicazione, ha riscoperto l’advertising, che occupa sì un posto centrale ma non nella promozione del territorio. Più in generale le campagne pubblicitarie istituzionali, sociali o promozionali della pubblica amministrazione sono di una banalità e un didascalico disarmanti. A volte rasentano il patetico e vengono pure strapagate. E pensare che abbiamo un patrimonio di siti di rilevanza storica, artistica, culturale e turistica che altri paesi si sognano, che praticamente si vendono da soli. Basterebbe dire che esistono e sono in Italia, senza nemmeno impegnarsi per cercare una creatività a effetto.
Invece, il nulla.
Di esempi di cattiva o sbagliata comunicazione ce ne sono tanti ma non voglio tediarvi con un lungo elenco di insuccessi. Ve ne cito giusto qualcuno per stuzzicare la vostra curiosità e la memoria:
- il sito italia.it voluto da Rutelli, diventato “operazione cetriolo” data la forma della “t” che nelle intenzioni voleva richiamare lo stivale ma subito venne accostata all’ortaggio;
- il sito verybello.it dell’epoca di Franceschini, che doveva essere un enorme portale a supporto di EXPO2015 ma che a poche settimane dall’inizio dell’esposizione era pubblicato solo in italiano;
- il marchio MAGIC ITALY voluto Berlusconi, anzi pare proprio elaborato da lui in persona, che ha avuto varie vicissitudini e che nella prima versione ricordava una casa di produzione di film hard.
- il nuovo marchio della Reggia di Caserta, ultimo (anzi penultimo) in ordine di apparizione, criticato perché privo di personalità, con uno stile che si adattava un po’ a tutti gli usi.
Per anni i nostri colleghi esteri ci hanno definiti come “fantastici nel produrre in maniera qualitativamente impeccabile il nulla”. Sono pienamente d’accordo, avrei giusto qualche riserva sul “qualitativamente impeccabile”. D’altronde se non riusciamo a salvaguardare il nostro patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale, possiamo mai essere in grado di promuoverlo?
Paolo Iabichino ci ricorda che la comunicazione, non solo quella politica, è frutto di un lavoro di negoziazione e mediazione tra il committente e il consulente, o l’agenzia, che realizzerà il progetto (da SpotPolitik: perché la “casta” non sa comunicare – di Giovanna Cosenza – ED. Laterza).
Per cui la colpa del risultato finale non è solo delle agenzie di comunicazione, a volte anche del male incurabile della burocrazia della Pubblica Amministrazione, della politica che detta l’agenda anche in questioni che non dovrebbero riguardarla, di quel modo approssimativo tutto nostro di fare le cose, non a caso detto “all’italiana”. Un metodo di approccio al (non) lavoro ormai radicato e difficile, se non impossibile da cambiare. Un sistema in cui le ragioni della politica e delle amicizie si sovrappongono a quelle della collettività, poiché orientate più alla tutela del consenso elettorale che alla creazione dei messaggi efficaci e di pubblica utilità. Il risultato sono azioni di comunicazione che non prendono una posizione precisa, perciò inefficaci e incapaci di modificare gli atteggiamenti del pubblico.
Dopo aver acquisito esperienza sul campo, e in prima persona, avendo lavorato per una delle regioni più affascinanti del nostro Paese e per quella in cui vivo, ho maturato da tempo la consapevolezza che il nostro territorio non abbia la promozione e la valorizzazione che merita, sia a livello nazionale che a livello locale, a parte qualche regione un po’ più attiva perché c’è un’amministrazione illuminata, a più stretto contatto col territorio e con gli enti turistici locali. Come spesso accade per altri aspetti, anche per ciò che riguarda il marketing territoriale in Italia siamo indietro rispetto ad altri paesi.
Ultimo caso in ordine cronologico è quello dell’operazione di promozione turistica della Regione Sicilia. Un progetto di comunicazione che arriva in un momento di particolare contrazione dei consumi e difficoltà di spostamenti dovuti all’epidemia da Covid-19. Un compito difficile. Lo sviluppo del progetto è stato assegnato con mandato diretto a un’agenzia catanese (World 2.0 srl) scelta sul MEPA (Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione) affidandole un budget di poco meno di 30.000 Euro. Il risultato è l’ennesimo marchio anonimo. Alla domanda “Come mai non è stato fatto un concorso per la creazione del logo?” la risposta dell’assessore al Turismo, Sport e Spettacolo Manlio Messina è da incorniciare: “…Non è un logo ma una scritta. Sul logo si farà senza dubbio un concorso di idee non realizzabile per tempi e per altre vicissitudini amministrative troppo lunghe da spiegare.” (Fonte: artribune.com).
Ora, al di là dell’insulto all’intelligenza delle persone, perché quella scritta di fatto è un logo, tu paghi 30.000 Euro un’agenzia per fare una “scritta”? Per giunta provvisoria, che non serve a nulla ma alla quale è stato dedicato un video per spiegarla. Video (che trovate qui) realizzato a costo zero montando delle immagini stock in sequenza, in perfetta continuità con lo spirito della “scritta”, ovvero adattabili a qualsiasi territorio (tranne l’ultima ovviamente). Scritta che poi è un deja vu perché ne ricorda altre fatte in passato da altri Paesi e regioni.
Ma a prescindere se il logo sia copiato o meno, bello o brutto, graficamente corretto o meno, la domanda, o meglio le domande sono: risponde a un brief? Cosa dovrebbe comunicare? A chi? Per quale motivo dovrei andare in Sicilia? Perché è la mia isola felice? Anche la Sardegna può essere un’isola felice, la Corsica, le Baleari, Lampedusa, Cipro.
Quel payoff, anzi “l’altra scritta”, per usare il linguaggio tecnico dell’assessore, si può appiccicare a qualsiasi isola. Dov’è l’unicità del territorio siciliano?
Anche se quel logo, pardon scritta, va a inquadrarsi in un contesto più ampio, che comprende varie e specifiche attività di comunicazione, deve essere comunque in grado di trasmettere qualcosa anche da solo.
E mentre scrivo questo post apprendo della scomparsa di Milton Glaser e non posso non parlare del capolavoro che lo ha reso celebre, ovvero il marchio per la città di New York: I ❤ NY, disegnato nel 1976.
Glaser ebbe l’idea (mentre viaggiava in taxi) di associare il segno grafico del cuore al concetto di amore e di abbinarlo alle lettere I (io) e NY (le iniziali di New York) nel font American Typewriter, realizzando un marchio essenziale, efficace, universale e senza tempo, oltre che ampiamente copiato. Altri tempi, altri uomini. Oggi non c’è tempo e non c’è cultura. Non si capisce che un marchio è “per sempre”. Soprattutto non si fa ricerca e non si impara dagli errori. E si continua a sbagliare.
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3 commenti
Francesco · 28 Giugno 2020 alle 17:25
Ma il video? Spero non ti sia sfuggito.
https://m.youtube.com/watch?v=b-xfSkt-yAU&feature=youtu.be
antonio_filigno · 28 Giugno 2020 alle 17:56
Ciao Francesco, l’ho visto eccome, non ho fatto accenno per non allungare troppo la cosa ma credo che ci ripenso, anzi lo aggiungo. Sarà stato fatto in 10 minuti (e costato zero Euro) utilizzando immagini stock per giustificare il significato della “Scritta”. Se avessero almeno realizzato un video riprendendo il territorio la cosa sarebbe stata in qualche modo giustificata e avrebbe avuto un senso, almeno avrei visto un po’ di Sicilia. Così è veramente didascalico e deprimente. Per non parlare della colonna sonora.
Francesco Spighi · 1 Luglio 2020 alle 08:01
Se può consolarti (sarcastico, non lo farà) ieri il comune di Pistoia ha fatto un post su Facebook chiedendo a tutti di inviare le più belle foto di Pistoia per rinnovare il materiale usato per la comunicazione e il sito.
Alla levata di proteste di cittadini e creativi, il post è poi stato rimosso.