Immaginate di andare a una festa, o un incontro, dove troverete persone che non conoscete. Vi incontrate, vi presentate con una stretta di mano accompagnata dal vostro nome e, al limite, “amico di” o “fidanzata di”. Punto. Pochi, brevi e fondamentali convenevoli, prima di passare ad una fase successiva. In una presentazione i primi 7 secondi sono determinanti e non esiste una seconda possibilità di dare la prima impressione.
Alla presentazione seguirà un tempo tecnico di analisi della situazione proprio come se si stesse scrivendo una strategia di comunicazione: l’ambiente, il mercato, la concorrenza, i mezzi di comunicazione, i servizi. Finita la fase di ambientamento e di studio si passa ad approfondire la conoscenza. Individuato un target, si parte a fare pubbliche relazioni e “direct marketing” di sé stessi.
Ora immaginate che si presenti a voi una persona e che cominci a inondarvi di informazioni su di sé in quel momento non richieste, che non vi interessano. Immaginate che cominci a bombardarvi di messaggi di ogni genere senza darvi respiro. Voi lì, inerti, sepolti da una valanga di parole, che cercate di intervenire alla prima pausa confidando in un attacco di tosse asmatica del vostro interlocutore, come vi comportereste? Probabilmente con una scusa cerchereste di scappare verso il buffet bevendo mojito a ripetizione.
Così come alzare la voce è il modo migliore per non farsi sentire, dire molte cose è il modo migliore per non dire nulla. La comunicazione pubblicitaria assomiglia molto alla comunicazione personale, anche negli aspetti legati alla seduzione. Le dinamiche sono le stesse: ogni cosa da dire ha un modo, un tempo, un contesto e un tono giusto. Soprattutto, la cosa giusta da dire è una. A volte il cliente vive nella convinzione che comunicare più cose contemporaneamente e indiscriminatamente consenta di aumentare le vendite di un prodotto o la notorietà di un brand. Un po’ come quando ti chiedono di mettere il marchio più grande. Niente di più sbagliato. Alla base di questa errata convinzione c’è la mancanza di una strategia o una strategia che vuole privilegiare troppe cose. Il che suona un po’ come un ossimoro, i privilegi in genere sono per pochi. Non di rado la strategia non c’entra nulla, è semplicemente il cliente a peccare di arroganza e presunzione. L’esperienza mi ha insegnato che trovare un interlocutore competente e corretto professionalmente è cosa assai difficile.
Il panorama internazionale, decisamente più qualificato del nostro, ci insegna che le campagne di comunicazione efficaci sono quelle definite “single minded”, ovvero sorrette da un unico pensiero di fondo. Pensiero riconducibile a tre diverse finalità:
– Informazione, ovvero intervenire sulla conoscenza o sulla consapevolezza dei consumatori;
– Persuasione, ovvero intervenire sulle opinioni, sulle convinzioni, sui pregiudizi o le simpatie dei consumatori orientando le scelte;
– Motivazione, ovvero agire sui comportamenti d’acquisto o utilizzo di un prodottoo un servizio.
E la capacità di sintesi non la troviamo solo nell’advertising ma anche nel below the line (cataloghi, brochure, comunicazioni sul POP). Me ne rendo conto avendo lavorato e lavorando tuttora per sedi italiane di aziende multinazionali: informazioni essenziali, immediate, chiare e sintetiche. Da noi purtroppo, anche per un fatto culturale, regnano abbondanza e ridondanza di concetti che rendono tutto banale e privo di valori espressivi e impressivi. Siamo fermi al visual di una mela con scritto “Questa è una mela”.
Ormai quotidianamente ci troviamo a impaginare manifesti pubblicitari che per contentuti non hanno nulla da invidiare a un folder. Anzi, a volte i clienti ci chiedono di replicare i contenuti del folder sul manifesto, con conseguente distruzione degli equilibri grafici ed estetici e la penalizzazione del messaggio, che perde tutta la sua efficacia perché il consumatore non ha un concetto chiaro e forte su cui focalizzare la sua attenzione. L’ansia del cliente di oggi è quella di dire tutto subito a tutti, non qualcosa di preciso a qualcuno in particolare e al momento giusto. E un cliente che non discrimina è un cliente che non ha identità.
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