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Era tempo che non mettevo mano ai miei lavori, al sito web e alla presentazione. Nella miglior tradizione del calzolaio che va in giro con le scarpe bucate, non avevo mai il tempo (e a volte la voglia, lo confesso) di aggiornare il portfolio, di sistemarlo, di abbellirlo. Fondamentalmente la ragione è una: l’eterna insoddisfazione. Creare o aggiornare un portfolio, e più in generale l’attività di comunicazione finalizzata all’autopromozione, è un lavoro in cui voi siete il vostro cliente. Il peggiore dei clienti. Quando si lavora per un cliente si arriva a un punto in cui la vostra soddisfazione unita alla sua fa sì che il lavoro si concluda. Ma quando si lavora per se stessi non ci si sente mai pienamente soddisfatti, per cui si prende il portfolio e lo si cambia, si smonta e rimonta varie volte, metti e togli, togli e metti, sposta, rifai tutto da capo …E adesso? Non ci vedo più dalla fame! Ops, scusate, deformazione professionale.
In parte è buona cosa. Essere critici verso i propri lavori, soprattutto quelli del passato, è indice di crescita professionale. Il problema è che, data l’importanza dell’oggetto, si ha la una sensazione latente che non sia mai abbastanza completo, ampio, referenziale, figo, e potrei andare avanti. Ciò accade perché si ha la consapevolezza che il portfolio non lo vedono solo potenziali clienti ma anche colleghi di altre agenzie e direttori creativi, che di solito sono spietati. Chi non lo è?
Provo la stessa cosa anche quando suono. Quando faccio un concerto sapere che tra il pubblico ci sono musicisti che giudicano e aspettano l’errore per criticare un po’ mi disturba. E allora? Cosa si può fare per sconfiggere l’ansia da portfolio?
Io ci ho provato così.
Che si fa?
Il portfolio è ancora lo strumento fondamentale di autopromozione per un freelance. È un modo immediato per far conoscere al mondo la propria esperienza, il proprio stile, il proprio potenziale creativo e il modo di lavorare. Non esiste una regola universale per realizzarlo ma partite dal presupposto che va trattato come un progetto di design cucito su di voi e realizzato in funzione dei vostri destinatari.
Nella sua definizione primordiale un portfolio, ad esempio di design, è un insieme di fogli (di cartoncino o accoppiati con un cartoncino) su cui vengono stampati i lavori, che vengono poi raccolti in una cartellina porta layout che di solito è di due tipi: quella un po’ fighetta da direttore creativo, nera, in simil pelle con la cerniera; oppure quella un po’ bohémien da artista, in cartone, con i lacci su tre lati per chiuderla.
Nel tempo il portfolio si è evoluto, uscendo dagli standard della cartellina e assumendo svariate forme e dimensioni arrivando al punto che il contenitore è diventato più importante del contenuto, quando in realtà dovrebbe essere l’esatto contrario.
Oggi i mezzi di comunicazione e i modi di comunicare si sono moltiplicati, e con essi anche la forma del portfolio, che sostanzialmente contempla tre tipologie:
il portfolio online, solitario su qualche piattaforma o all’interno del proprio sito;
il documento digitale, di solito un pdf ma c’è anche chi osa Power Point;
il portfolio stampato, roba vecchia, fuori moda ma che ha ancora degli estimatori.
Il portfolio online è il modo più semplice, immediato e conveniente di mostrare i propri lavori e rispetto al pdf e alla carta ha indubbiamente dei vantaggi:
- è modificabile/aggiornabile facilmente e più velocemente;
- è possibile argomentare in maniera più articolata la realizzazione di un progetto;
- è disponibile e raggiungibile da chiunque in qualsiasi momento;
- potenzialmente dà più visibilità e notorietà, soprattutto se usato in sinergia con i social network.
Il documento digitale ha dei limiti di spazio rispetto alla web gallery poiché per quanto si possa comprimere un pdf, senza compromettere la qualità delle immagini, difficilmente potrà essere spedito via mail. Bisognerà ospitarlo su un sito e renderlo scaricabile o inviarlo via internet, magari con WeTransfer che però ha un link a tempo. Il documento in pdf è funzionale al colloquio vis a vis dove i progetti vengono presentati a voce e c’è tempo per argomentare. Sostanzialmente è uno slideshow di immagini, una massimo due slide per progetto con delle brevi descrizioni.
Buona parte parte della nostra giornata si svolge all’interno di uno schermo quindi va da sé che la scelta più naturale sia di averlo su internet o su un file digitale in cui la cartellina bohémien e quella da fighetto sono diventati un iPad Pro da 12,9”. È giusto, anche io che amo toccare e annusare la carta ho ceduto alla tecnologia ma confesso che fino a poco tempo fa utilizzavo il portfolio stampato. Certo, era figlio di un pdf ma quando mi presentavo preferivo utilizzare quello cartaceo. Lo avevo creato e confezionato a mano, rilegato ad anelli per poterlo aggiornare e modificare senza doverlo rifare ogni volta. Ecco, questo è un aspetto fondamentale che non va mai dimenticato, prima ancora di decidere che forma dargli. Il portfolio vive una vita parallela alla vostra, cresce (o decresce) con voi per cui va curato e alimentato come un tamagotchi. Tenete presente che il cliente vi giudicherà basandosi molto sui lavori recenti. Inoltre, come ho imparato da Silvio Dolci, deve essere flessibile e adattabile alla tipologia di cliente da cui andate a presentarvi. Quando lavoravo alla Dolci Advertising ero il preparatore di presentazioni personale di Silvio Dolci. A seconda del cliente da incontrare mi faceva aggiungere o togliere dei lavori.
Grande o piccolo?
Se siete dei romantici idealisti e volete farlo cartaceo vi consiglio il formato A3, perché ha una sua presenza e consente di dare respiro ai progetti. Io non sono un fan del formato album (orizzontale per intenderci) ma ammetto che permette di impaginare bene gli elementi orizzontali senza penalizzare troppo quelli a sviluppo verticale. Le dimensioni ovviamente non sono vincolanti ma i formati standard (A3 o A4) sono più facili da gestire quando andate in stampa. Nulla vieta di farlo ad esempio 25×35 cm o quadrato. Solo che poi dovrete stampare su A3 e ogni volta rifilare a mano i fogli. Come supporto può andare bene una carta patinata da 200 g/mq oppure una carta più leggera incollata su un cartoncino più spesso, meglio se di colore nero.
Se siete giovani, smart e up to date e volete fare un portfolio digitale siete vincolati unicamente alla dimensione dello schermo del tablet o del monitor del vostro portatile. Rispetto alla stampa il pdf ha un grosso vantaggio: i lavori a video sembrano più fighi. Il monitor riesce a mascherare tutte le magagne che possono apparire su un foglio stampato. Eventuali problemi di risoluzione, di cromie, sovrastampe o scontorni un po’ “selvaggi” sul monitor non si vedono o si vedono meno. Se poi avete uno schermo retina sembrerà tutto ancora più bello. Il problema della stampa è che se non è fatta più che bene rischia di sminuire un progetto.
Cosa ci metto?
Bene, stabiliti forma e formato viene ora la parte più difficile: come lo riempio? Come ho detto, il contenitore non deve vampirizzare il contenuto. La grafica è importante ma è meglio non eccedere. Dovete presentare i vostri lavori, ricordate? È giusto privilegiare uno stile grafico semplice, che non distragga e che dia il giusto risalto ai progetti. E questo vale tanto su carta quanto online. Un lavoro poco efficace presentato in una galleria Behance non diventa improvvisamente giusto se lo metto in un minisito farcito di slider e parallax. È solo un lavoro poco efficace presentato meglio.
Prima di partire con lo “show” è utile dedicare una o due pagine/slide alla presentazione di se stessi, soprattutto perché se mandate il portfolio via mail non sarete lì a raccontarlo quando il vostro selezionatore lo sfoglierà. In poche parole riassumete la formazione e il vostro percorso professionale. Al fondo del portfolio o a parte è possibile inserire il curriculum completo. Mi raccomando, i contatti, ben visibili.
Ma veniamo alla “ciccia”, ovvero i lavori. Come li metto? Quanti ne metto? Ma soprattutto, quali metto?
Partiamo dall’ultima domanda.
Prima voglio dire una banalità a effetto di quelle che dicono i guru della comunicazione: la chiave per un portfolio di successo sta nella selezione dei contenuti. E chi l’avrebbe detto?
Battute a parte, se sapete in anticipo chi vedrà il vostro portfolio siete avvantaggiati nella scelta di cosa metterci dentro. Non sprecate l’opportunità. Detto ciò, non posso dirvi quali lavori mettere ma posso darvi un’idea di come selezionarli indicandovi alcune tipologie:
– Quelli che danno prestigio. Perché è prestigioso il cliente, perché è prestigioso il progetto o, se siete fortunati, entrambe le cose. Lavorare per clienti importanti fa sempre colpo.
– Quelli che hanno dato soddisfazione. Perché ti sei divertito a farli, il cliente ti ha lasciato in pace e quindi ti sono venuti particolarmente bene, tanto da andarne fiero.
– Quelli che “fa curriculum”. Premessa: tutto fa curriculum. Però possono esserci lavori di cui non vai particolarmente orgoglioso, che magari non sono nelle tue corde ma servono a testimoniare la tua esperienza su un particolare tipo di progetto; oppure ci sono lavori complessi che ti hanno sfiancato ma al tempo stesso fatto acquisire nuove competenze professionali. Questi vanno inseriti. Ovviamente solo i migliori. Ad esempio, io non amo particolarmente fare i direct mailing ma negli anni me ne sono capitati così tanti che ho acquisito una certa esperienza.
– Quelli che “fanno volume”. Servono soprattutto quando siete in fase di startup e dovete costruire da zero un portfolio con poco materiale a disposizione. Sono i cosiddetti Side Projects (ne ho parlato qui) molto utili, anche per tenersi in allenamento nei periodi in cui si è più scarichi.
L’ideale sarebbe avere lavori che coprano ed esaltino il più possibile le vostre competenze e le vostre capacità, compatibilmente con il vostro percorso professionale. Se avete lavorato per vent’anni in una società editrice magari avete poche campagne adv e viceversa. Se invece vi sentite più portati o avete deciso di specializzarvi e investire energie in un solo settore, ad esempio il packaging, è giusto privilegiare nel portfolio quella tipologia di lavori. Se offrite servizi ad ampio raggio cercate di bilanciare il numero di lavori delle varie tipologie di servizio.
Un consiglio: non abbiate paura di chiedere un parere a professionisti con più esperienza. Se siete indecisi su cosa mettere, un parere più autorevole di un collega, che abitualmente visiona e valuta portfolio come il vostro, può essere d’aiuto.
Quanti lavori metto?
Sul numero di lavori da inserire una regola generale dice che non c’è una relazione tra quantità e qualità. Non è detto che un portfolio con quattro lavori sia insufficiente se quei quattro progetti sono di livello, articolati, convincenti e presentati bene. Allo stesso modo un portfolio con cinquanta lavori non è detto che vi garantisca l’ingaggio. Anzi, è possibile che non venga nemmeno visto fino alla fine.
La velocità con cui il vostro portfolio viene sfogliato aumenta con l’aumentare delle pagine, per cui mettete i lavori in ordine dal migliore in giù.
Per questo motivo il mio portfolio sono quattro. Perché ognuno di questi ha qualcosa che gli altri non hanno e ognuno ha una funzione diversa dagli altri.
Come designer ho una gallery di lavori su Behance e sul mio sito internet. Lì ci sono una parte dei progetti realizzati che coprono tutti gli ambiti in cui lavoro. Poi ho un pdf che è a metà strada tra il portfolio e la presentazione. È un file più “agile” con una selezione di lavori, di solito quelli più recenti, e un po’ di testo che riassume competenze e capacità acquisite. Questo file lo mando via mail insieme al CV, giocandomi il portfolio completo alla presentazione face to face.
Infine c’è il portfolio vero e proprio, un altro pdf dove c’è di tutto e di più. È quello che contiene anche alcuni progetti bocciati ma meritevoli di menzione e i lavori che non si potrebbero inserire perché fatti all’interno delle agenzie.
Ecco, vorrei spendere due parole su questo punto perché molte persone chiedono se e come si possono inserire i lavori da freelance fatti in agenzia. Dunque, un progetto per un cliente dell’agenzia sviluppato in agenzia è dell’agenzia. Capite però che chi ha lavorato la maggior parte dei suoi anni come free all’interno delle agenzie, con i ritmi delle agenzie, a meno che non soffra di insonnia e lavori per altri clienti la notte, difficilmente avrà un portfolio con tanti lavori tutti suoi. Per ovviare a questo problema nella presentazione che mando via mail segnalo l’agenzia in cui ho realizzato il tal progetto; nel portfolio completo che presento di persona nomino l’agenzia, mentre sul sito internet nella pagina del progetto metto il link al sito dell’agenzia o direttamente alla pagina del progetto stesso qualora anche l’agenzia lo avesse pubblicato. A monte di tutto bisogna sempre valutare la sensibilità del dei titolari dell’agenzia, qualcuno potrebbe comunque non gradire.
Bene. Abbiamo stabilito forma, formato e progetti da inserire, resta da rispondere all’ultima domanda.
Photo credit: Tranmautritam (Pexels)
Come visualizzo e racconto i miei lavori?
Un modo efficace di visualizzare un progetto è quello della case history, ovvero illustrare tutti i passaggi che hanno portato alla definizione del progetto. Spesso i passaggi sono più importanti del risultato finale, che in qualche modo è influenzato dai desiderata del cliente. Su un metodo di lavoro teoricamente non dovrebbe intervenire. Per una campagna adv magari è lungo e difficoltoso visualizzare gli step intermedi ma, per esempio, nella realizzazione di un marchio o un packaging è più facile far capire il contesto e il metodo visualizzando gli schizzi preparatori, le proposte scartate e tutti i passaggi fino al risultato finale.
Se per un lavoro sono state utilizzate carte non comuni, vernici UV, e lavorazioni particolari, presentare l’oggetto fisico è un valore aggiunto. Far vedere in un’immagine un rilievo a secco, una carta soft touch, una serigrafia lucida, una lamina in oro è più complicato e rende meno l’idea, a meno che non si facciano degli scatti fotografici specifici che mettano in risalto quelle lavorazioni, che comunque non saranno mai attraenti come l’oggetto fisico.
In fase di impaginazione hai due possibilità: presentare i lavori per settore: tutto l’above the line, tutto il below, il web, etc etc, oppure alternare le tipologie di progetto.
Il primo è un metodo ordinato e logico che va bene se hai un portfolio molto farcito. Però far vedere dieci campagne adv, magari per lo stesso cliente, alla lunga stanca. Rammento la regola per cui l’attenzione cala col passare del tempo.
La cosa migliore è alternare tipologie di progetto e clienti per cercare di tenere alta l’attenzione del nostro interlocutore. Non è nemmeno fondamentale metterli in ordine cronologico. In sede di presentazione sta a voi condurre il gioco, capire le esigenze e gli stati d’animo del vostro possibile datore di lavoro e nel caso andargli incontro, anche improvvisando se è il caso. Se lo vedete interessato ai packaging insistete mostrandone altri. Se lo vedete annoiato andate oltre.
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