In attesa di un nuovo vip da prendere di mira, uno scandalo da commentare o una notizia su cui sfogare la propria frustrazione (ci ha pensato Carpisa proprio oggi), le attenzioni del popolo della rete dalla tastiera facile, tramite loro principale amplificatore che è Facebook, si sono concentrate sull’ultimo spot pubblicitario del Buondì Motta. Le persone con qualche capello grigio (come me) o con qualche capello in meno (come me) probabilmente ricorderanno il jingle che recitava “…quel dolce blu tra un bel libro e la tv, tra mille emozioni il più dolce sei tu, niente al mondo è più Buondì di così… Buondì Motta, buondì mio”.
Altri tempi. Da allora la pubblicità si è evoluta molto, almeno all’estero. In Italia si viaggia (da sempre) sui rigidi binari del didascalico politicamente corretto che non deve offendere nessuno. Che sia una campagna stampa o uno spot video siamo assuefatti a un format privo di guizzi creativi fuori dagli schemi, eccezion fatta per alcuni spot di brand internazionali che propongono lo stesso format in paesi diversi con culture diverse (mi viene in mente lo spot Vigorsol della lotteria).
Non ci si può permettere di fare paradossi, metafore, similitudini, nulla che costringa lo spettatore a pensare, a fare uno sforzo per capire il “gimmick“. Tutto deve essere banale e comprensibile anche alla persona mentalmente e visivamente più distratta. Men che meno si può utilizzare l’umorismo “con un pizzico di atroce”, anche se palesemente paradossale.
Lo spot Motta ne è la dimostrazione. Il lato comico surreale non è stato minimamente colto (non da tutti fortunatamente). Al contrario, un esercito di mamme indignate ci è rimasto malissimo, facendo commenti al vetriolo e inveendo sulla pagina social del prodotto, che fortunatamente ha dei media manager dotati di senso dell’umorismo e invidiabile self control che rispondono colpo su colpo. Qualcuno ha pure detto di aver visto lo spot insieme al figlio e che questi ha creduto che la mamma fosse morta. Altri addirittura hanno contestato la scarsa sensibilità di fronte a bambini che hanno perso la mamma. Ecco, queste persone invece di perdere tempo a lamentarsi su Facebook, dovrebbero impiegare quel tempo a spiegare al figlio cos’è un’iperbole in pubblicità, (compatibilmente con l’età del figlio) e che quella situazione non è vera ma surreale. Altrimenti gli oltre 1500 tentativi di Wile E. Coyote di ammazzare lo struzzo non saranno serviti a nulla.
E dire che fin dall’inizio il video è molto “guidato” e prevedibile, forse proprio per sgombrare il campo (qualora ce ne fosse bisogno) da interpretazioni errate o distorte. L’intento è chiaramente parodistico e fa il verso alle pubblicità “buone” in cui trionfa lo stereotipo della famiglia unita e felice che non vede l’ora di alzarsi al mattino, fresca e riposata, per fare colazione tutti insieme e andare al lavoro/scuola. La bimba entra in scena e pronuncia una richiesta chiaramente irreale, perché se mia figlia piccola si presentasse dicendomi “Vorrei una colazione leggera ma decisamente invitante, che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e di golosità” avrei dei dubbi sulla mia paternità. La mamma risponde tranquillamente “Non esiste una colazione così, cara! Possa un asteroide colpirmi, se esiste!” e pam! Lo spot diventa surreale perché un asteroide colpisce veramente la mamma disintegrandola. E qui dentro di noi dovrebbe già essersi palesata la risposta “Ah, allora esiste”.
Se non fosse ancora sufficiente, seguono oltre dieci secondi (un’eternità per uno spot) di immagine fissa del prodotto che continua ad essere colpito da piccoli asteroidi, con la scritta “La pubblicità riprenderà il più presto possibile”. Più piccolo in basso “Colazione golosa e leggera? Certo che sì, è Buondì!” e in fine in un corpo da disclaimer la frase “Nessuna mamma è stata maltrattata durante le riprese”.
Che altro serve per far capire che è una gag? I genitori “destinatari” di questo spot sono cresciuti con i film di Fantozzi e Mel Brooks, hanno visto L’aereo più pazzo del mondo e la saga di Una pallottola spuntata, dovrebbero essere allenati a certi codici di comunicazione. Lasciamo perdere per un attimo il citato Wile E. Coyote o La pantera rosa, perché il cartone animato di per sé sdrammatizza. Qual è il problema se lo stesso meccanismo viene applicato a una pubblicità? Per una volta che un’agenzia riesce a proporre un’idea divertente e il cliente la sposa e ha il coraggio di realizzarla. Non solo, quando la polemica raggiunge l’apice della sua manifestazione mette in onda il sequel in cui anche il padre fa la stessa fine della madre. Questo spot finalmente segna una rottura con la tradizione della famiglia perfettina e si avvicina molto al mio concetto di alzarsi al mattino quando dico che “ci vogliono le bombe per staccarmi dal letto”.
Il problema è che la gente non è educata al linguaggio visivo. Guarda la televisione subendola passivamente. Non analizza i messaggi, non coglie l’ironia (che richiede intelligenza), la situazione paradossale, anzi si prende fin troppo sul serio su questioni che di serio hanno ben poco. Stiamo parlando di una merendina. Purtroppo certi stereotipi sembrano essere ancora intoccabili: famiglia felice e unita, la casa perfetta, la mamma!
Ben vengano gli asteroidi.
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