Sebbene una buona parte dell’editoria e del graphic design si siano riversati sul digitale, con potenzialità che la carta per ovvie ragioni non possiede, un catalogo, una brochure o una monografia stampata resistono al trascorrere del tempo e conservano ancora un certo fascino. Il piacere che dà annusare una brochure fresca di stampa è unico, così come sperimentare le sensazioni tattili regalate dalle tecniche di stampa, sempre più emozionanti e sofisticate. Ma i grafici smanettoni di oggi non possono capire. E non è nemmeno tutta colpa loro. Ogni giorno nel mondo si creano, si scrivono, si impaginano e si stampano milioni di brochure e cataloghi. Distinguersi è difficile, per una serie di motivi.
Il primo è il progressivo e inesorabile appiattimento e abbassamento della qualità, che in parte è dovuto alla svalutazione del mestiere del graphic designer, causata in parte dalla massificazione della tecnologia, e in parte dalla crescita di nuove generazioni di clienti sempre meno attenti e interessati alla qualità di un prodotto grafico. Oggi chiunque può realizzare un folder, basta un programmino di impaginazione, un po’ di foto fatte col telefono o royalty free (acquistabili al costo di un caffè), qualche effetto grafico preconfezionato e il gioco è fatto. E la creatività? La qualità? Il gusto? Non sono più considerati un valore aggiunto, anzi, a volte sembrano quasi un ostacolo. Se un direttore marketing mi dice che dal suo punto di vista un folder di vendita fatto con Power Point ha la stessa “capacità persuasiva” di uno impaginato bene con InDesign, per di più fatto nella metà del tempo, io cosa posso dirgli? I numeri gli danno ragione. Se poi c’è una forza vendita che ha solo bisogno di uno strumento per convincere all’acquisto un cliente che la grafica ricercata nemmeno la capisce, il mio lavoro figo tutto bello pulito e allineato a che serve?
Secondo aspetto, ma non meno importante, bisogna fare i conti con la crisi economica che ci sta un po’ massacrando, con i costi di stampa, di rilegatura e, soprattutto, la carta, che nel prezzo unitario di una brochure incide in maniera importante. Peccato che, su livelli di grafica più o meno allineati e su formati più o meno similari, sono proprio il tipo di carta utilizzato e le tecniche di stampa a fare la differenza tra una semplice brochure e un prodotto di design. Eh già, riserve lucide, vernici a sbalzo, goffrature, carte con effetto tattile, fustelle e rilegature particolari, sono cadute in disuso, vittime della crisi che scoraggia i responsabili marketing e comunicazione dall’avventurarsi in stampe particolari, che produrranno pure un risultato sfavillante con effetti positivi sull’immagine ma non danno la garanzia che questo si traduca in un ritorno economico. “Anche se non uso una carta soft touch e le vernici UV la mia brochure si legge lo stesso e funziona ugualmente” è il ragionamento più comune. Così le lavorazioni speciali restano prerogativa dei top brand o di quei pochi clienti che hanno il coraggio di fare un investimento, considerando la propria brochure un vero e proprio strumento di comunicazione e affidandosi ai professionisti della grafica perché credono nell’efficacia di una brochure fatta in un certo modo e vogliono un prodotto di qualità.
Beh, magari ora vi ho depresso. Su su! Grafici di tutto il mondo, non perdiamoci d’animo. Per quanto un cliente non resisterà alla tentazione di trasformare la vostra pulitissima brochure nel volantino di un ipermercato, voi dovrete cercare di non perdere la strada e non cedere alle sue ansie e paure, prime fra tutte quella del vuoto e del “troppo bianco” e la sindrome del font “moderno”. Se state per entrare in confusione da richieste assurde ricordategli queste poche semplici regole. Comprendo che sia difficile ma vale la pena provarci.

1. Coerenza innanzitutto.
Un concetto grafico chiaro, una scelta di caratteri studiata e applicata in maniera omogenea, un’elaborazione grafica rigorosa sono la base per realizzare una buona brochure. Qualsiasi brochure. Tutti principi che un cliente cercherà di smontare un po’ alla volta con le sue convinzioni. La parola d’ordine è resistere.

2. Rispettare l’identità e l’immagine del brand.

A meno che il cliente non chieda esplicitamente di sperimentare nuove strade, è opportuno attenersi all’immagine aziendale, i colori codificati, il lettering e più in generale le linee guida del brand, che il cliente dovrebbe fornire e che, in caso contrario, sarebbe buona cosa chiedere. Non di rado, il cliente è il primo a non rispettare le proprie guidelines, ricordargliele vi farà guadagnare dei punti.

3. Trasmettere un messaggio chiaro attirando l’attenzione.

La fusione tra la forma e il messaggio deve mettere in risalto e appoggiare l’intenzione della brochure riuscendo a incuriosire il destinatario del messaggio. Ci sono vari modi. Dal concetto coerente accompagnato da una veste grafica impeccabile e curata nei minimi particolari, alla brochure con illustrazioni straordinarie e immagini surreali, oppure un concetto semplice ma ben elaborato.

4. Non sovraccaricare di informazioni.

Per ragioni opposte il desiderio di ogni cliente e di ogni designer è che la propria brochure non finisca dimenticata in mezzo ad altre. Il cliente non la vuole troppo vuota per non correre il rischio di non dire abbastanza. Il designer non la vuole troppo piena per non correre il rischio di trasformarla nel menù del kebabbaro. La certezza che questo non accada non può garantirla nessuno. Un modo per scongiurarlo è riuscire a focalizzare l’attenzione sui concetti chiave funzionali al marketing. La brochure non è un libro. Non bisogna farcirla di informazioni ridondanti o sovraccaricarla di concetti che rischiano di annoiare il lettore. Bisogna creare una “call to action”, un invito ad agire, non a cestinare.

5. Utilizzare saggiamente le immagini.

Se è vero che non bisogna inondare la brochure di informazioni, è altresì vero che non bisogna abusare dell’utilizzo di immagini. Bisogna giocare con testi e foto, anche su un pezzo di carta, fino a quando non si è soddisfatti del layout e si è raggiunto un giusto equilibrio. Qui preparatevi al peggio. Un cliente non conosce la regola del bilanciamento dei pieni e dei vuoti. Una pagina con dello spazio libero da grafica lo spaventa. Stranamente solo se si tratta della sua brochure, perché quando ne vede una pulitissima di un suo competitor generalmente non patisce, anzi gli piace. Non sa che il vuoto è esso stesso grafica.

6. Scegliere il formato.

Come detto in precedenza, il costo della carta incide abbastanza nella realizzazione di una brochure. La scelta del formato va fatta nell’ottica uscire dalla monotonia delle misure standard ottimizzando il più possibile il foglio macchina per avere meno spreco di carta possibile. Prima di stabilire il formato può essere utile informarsi dal tipografo su quale foglio macchina stamperà, ad esempio 70×100 cm o 50×70 cm.

7. Il mezzo è il messaggio.

Nel campo della comunicazione sono pochi i pensatori che hanno esercitato, e che esercitano tutt’oggi, un’influenza pari a quella di Marshall McLuhan, il sociologo canadese che ha studiato per tutta la vita le dinamiche della comunicazione e le loro influenze sulla società e sui singoli individui, anticipando spesso tendenze e sviluppi che si sarebbero poi effettivamente verificati. Sua è la famosa frase “Il mezzo è il messaggio”, che sostanzialmente sta a significare che la natura di un media (mezzo) produce un’influenza sul destinatario che va al di là del contenuto che veicola. Quando sono in fase di progettazione di una brochure (soprattutto di prodotto) spesso cerco di capire (na volta appurato che il budget me lo consente) se posso darle una forma che veicoli già un messaggio ancora prima di leggerne il contenuto. Magari proprio la forma e le fattezze del prodotto che si deve promuovere. Un modo per distinguerla da altre brochure e attirare l’attenzione. Prima che, comunque, finisca impilata insieme a quelle dei concorrenti.


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